Chi ha paura delle dating app? Illusioni, rischi e opportunità
- Dott.ssa SerenaTomassetti
- 13 set
- Tempo di lettura: 6 min

Negli ultimi anni le app di incontri sono diventate parte integrante del paesaggio relazionale contemporaneo. Qualcuno le usa con entusiasmo, qualcuno le demonizza come fossero il simbolo della superficialità odierna, e qualcuno vi si affida con speranza ma “di nascosto” per paura del giudizio altrui. Ma perché le dating app hanno ancora addosso questo pregiudizio?
Un primo dato è innegabile e di facile riscontro. Le dating app ci obbligano a guardare in faccia un aspetto della realtà e delle relazioni che ci mette a disagio: il fatto che la prima scelta, quasi sempre, avvenga sulla base dell’aspetto fisico. Si osservano le foto caricate dall’altro utente, si valuta il suo criterio di gradevolezza estetica e si decide se dare un feedback positivo o negativo facendo swipe in una direzione o nell’altra. Su un’app questo è evidente, dichiarato, quasi brutale; ma siamo sicuri che sia molto diverso dal conoscere una persona in un locale o chiedere all’amica chi è quel ragazzo carino che ha salutato in università? In questo caso la selezione avviene comunque sulla base di una prima impressione necessariamente superficiale e veloce, basata sull’estetica, ma l’apparente “casualità” della scelta ci protegge dal pregiudizio, ci illudiamo che la situazione sia nata “per caso” e che la chimica sia stata “naturale”. In realtà il filtro dell’attrazione visiva è sempre presente: le app semplicemente lo rendono più esplicito.
Il bisogno di essere scelti e la ricerca di conferme
Le app di incontri toccano corde psicologiche molto profonde: il bisogno di sentirsi desiderati, scelti, approvati. Ogni “match” produce una piccola scarica di dopamina, una sensazione di riconoscimento che può creare quasi una forma di dipendenza. Per chi ha un sistema di attaccamento più ansioso, questo meccanismo può essere ancora più potente: il match non è solo un incontro potenziale, ma la prova che “valgo”, che “non sono invisibile”, che “non resterò solo per sempre”.
Il rischio è che la ricerca di conferme prenda il sopravvento sull’autenticità: invece di cercare un legame, si finisce per collezionare presunte prove dell'approvazione altrui.
Idealizzazione e iperinvestimento: "farsi i film" troppo presto
Un’altra dinamica frequente è l’idealizzazione. Bastano pochi messaggi, qualche interesse in comune e subito la mente comincia a girare il film: “è la persona giusta!”. Questa tendenza ad anticipare scenari futuri è legata al nostro bisogno di sicurezza e di stabilità, ma spesso ci porta a proiettare sull’altro aspettative e desideri che non hanno nulla a che vedere con chi realmente abbiamo davanti.

L’iperinvestimento iniziale rende i rifiuti molto più dolorosi. Il fenomeno del “ghosting”, per esempio, non fa male soltanto perché l’altro sparisce, ma anche perché infrange la storia che ci eravamo già raccontati. Gestire la delusione significa allora imparare a distinguere tra ciò che l’altro realmente ci ha mostrato e ciò che noi abbiamo costruito con l’immaginazione.
Aspettative realistiche e gestione del rifiuto
Entrare in un’app con l’aspettativa di trovare subito il “grande amore” è come recarsi in un negozio sperando che al primo scaffale ci sia esattamente ciò che vogliamo: possibile, ma poco probabile. Avere aspettative realistiche significa considerare il rifiuto come parte del processo, non come una valutazione definitiva e assoluta del nostro valore personale.
Chi ha un attaccamento più insicuro tende a leggere ogni rifiuto come conferma dei propri timori (“non sono abbastanza”, “non piacerò mai a nessuno”), oppure può irrigidirsi sull’obiettivo di conquistare l’altro a tutti i costi come dimostrazione definitiva del proprio valore: un tipo di ostinazione sentimentale che espone a vissuti di intensa frustrazione e umiliazione. Alcune persone, in seguito ad alcuni incontri fallimentari, sviluppano aspettative fortemente pessimistiche circa la possibilità di conoscere via app qualcuno di interessante, tendono a rassegnarsi e a svalutare l'intero contesto, privandosi così dell'opportunità di continuare a utilizzarlo come strumento e risorsa per esplorare nuove conoscenze.
Per adottare una prospettiva più equilibrata soccorre riconoscere che la compatibilità non è garantita, e che non tutti gli incontri hanno lo stesso peso.
Chiarezza interna: l’importanza di sapere cosa si cerca
Dal momento che le app estendono il ventaglio di possibilità a disposizione, il rischio di confusione è molto elevato. Cerco una relazione seria? Mi interessa una frequentazione senza impegno? Sono aperto a vari scenari? Senza un minimo di orientamento interno sui propri desideri e obiettivi, senza sapere che tipo di relazione stiamo cercando, è facile perdersi in situazioni ambigue. Altrettanto importante è avere un'idea (almeno orientativa) di quali sono le caratteristiche dell'altro che possono andar bene per noi e quali invece le cosiddette "red flags", i segnali allarmanti che ci dicono che quella persona non va bene per noi.

Essere consapevoli non significa irrigidirsi, ma avere una chiarezza mentale ed emotiva che permette di proteggersi da:
Incoerenza e interazioni caotiche: mettere in atto comportamenti contraddittori che finiscono per confondere l’altro. Ad esempio, dire che non stiamo cercando nulla di serio per dare un’immagine di leggerezza e spensieratezza, e poi avere reazioni di rabbia se l’altro sposta la conversazione sul sesso.
Iper-adattamento verso le aspettative altrui: consiste nel sintonizzare le interazioni sulla base dei comportamenti e delle preferenze dell’altro, finendo spesso per compiacerlo, allontanarsi dai propri desideri e bisogni, “accontentarsi”. Ad esempio, accettare una seconda uscita con una persona che abbiamo già capito che non ci interessa frequentare a lungo termine, creando così false speranze e perdendo tempo ed energie in un vicolo cieco.
Idealizzazione precoce: proiettare sull’altro fantasie e aspettative che non hanno riscontro nella realtà. Ad esempio, andare a un primo appuntamento senza aver letto con attenzione il profilo dell’altro, dando per scontate alcune informazioni ("è un medico quindi sarà sicuramente una persona seria") e ignorandone altre potenzialmente rilevanti per capire se ha senso incontrarsi di persona o no (vive in Brasile, è qui per una vacanza e io sto cercando una relazione a lungo termine).
Delusioni: la chiarezza aiuta a filtrare prima. Se state cercando cose diverse è meglio saperlo prima di qualsiasi coinvolgimento emotivo, investimento di tempo e di energie.
Senso di vuoto dopo i rifiuti: se si è chiari con se stessi, il rifiuto pesa meno. Non è un attacco al proprio valore, ma semplicemente una mancata corrispondenza di obiettivi.
Dipendenza da conferme continue: senza un obiettivo, si rischia di usare le app solo per sentirsi “scelti”, alimentando un ciclo di ricerca compulsiva di match.
Relazioni disfunzionali: la confusione rende più difficile riconoscere dinamiche manipolative (ghosting ripetuti, incoerenza, bugie), mentre la chiarezza aiuta a chiudere tempestivamente situazioni potenzialmente tossiche.
Autenticità calibrata: mostrarsi senza esporsi troppo
Un punto delicato riguarda la costruzione dell’identità digitale. L’ansia di essere accettati può spingerci a costruire un profilo iper-ottimizzato, una versione patinata e poco sostenibile di noi stessi. Ma anche l’eccesso opposto, cioè un’esposizione totale, senza filtri, può essere rischioso, perché ci rende troppo vulnerabili.
La sfida è trovare un livello di autenticità “gestibile”: mostrarsi in modo vero, senza però anticipare vulnerabilità profonde prima che ci sia la base di fiducia necessaria. L’autenticità non deve essere considerata un “tutto o nulla”, o sono me stesso sempre o metto una maschera, ma un processo che si sviluppa gradualmente.
Protezioni psicologiche necessarie
Le app sono strumenti potenti ma da “maneggiare con cura” perché sono contesti in cui può essere difficile gestire gli aspetti di ambiguità.

Alcune attenzioni fondamentali:
Non confondere il match con una conferma di valore personale: è un’occasione di conoscenza, non è una prestazione né un esame da superare.
Accettare che rifiuto e delusione fanno parte del gioco: il rifiuto non parla sempre di noi, spesso parla dell’altro, dei suoi gusti personali, della sua fase di vita, dei suoi vissuti e esperienze pregresse.
Non consegnare subito la parte più fragile di sé: esporsi va bene, ma con gradualità.
Monitorare il bisogno di conferme: se diventa l’obiettivo principale, forse è il momento di fermarsi e interrogarsi.
Conclusioni
Le app di incontri non sono né un nemico da combattere né un porto sicuro garantito. Sono uno specchio che riflette, e a volte amplifica, dinamiche psicologiche già presenti: il bisogno di attaccamento, la paura del rifiuto, il desiderio di essere visti e riconosciuti.
Accostarsi a questi strumenti con pregiudizio significa perdere un’opportunità; usarli senza consapevolezza significa esporsi a ferite che possono essere molto dolorose.
La vera sfida è approcciarli come si farebbe con una relazione: con curiosità, realismo, autenticità calibrata e soprattutto con la capacità di reggere la frustrazione. Perché se è vero che un locale, un incontro casuale o una serata con amici possono cambiare la vita, lo stesso (nel bene e nel male) può accadere con un semplice swipe.
Dott.ssa Serena Tomassetti





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